Trent'anni fa quando si parlava di servizi segreti lo si faceva con circospezione, venti anni orsono le inchieste sulle stragi di stato a malapena facevano capire che in un qualche modo (organizzatori, o mandanti, o esecutori, oppure di informati) ne erano coinvolti. Oggi siamo al punto che qualsiasi facoltà universitaria ha il suo corso di intelligence o sulla prevenzione della criminalità, però non c'è da rallegrarsene: vuol dire che i servizi ancora distribuiscono denaro a piene mani e che l'università ha trovato un nuovo canale di finanziamento; purtroppo alla moda!
Affligge il fatto che davanti allo stragrande numero di corsi sull'open sources service e di sociologia del terrorismo, spesso messi in piedi affrettatamente e senza competenza o preparazione, abbiamo rarissimi o seminesistenti corsi di sociologia sulle migrazioni, una disciplina che dovrebbe essere ben presente in quanto facente parte di quel disegno Territorio-Popolazione-Risorse tangibili e intangibili che fa parte delle costanti K universali.
Ma, si sa, i servizi hanno sempre ben pagato le informazioni ricevute e le disinformazioni diramate, senza renderne conto al bilancio dello stato, con soddisfazione di coloro che vi hanno ruotato intorno risultando sul libro paga e raggiungendo carriere di tutto rispetto (dalla direzione di giornali a membri di consigli d'amministrazione o di dipartimenti). Ricordiamo in proposito le interrogazioni parlamentari dei radicali addirittura di oltre quarantacinque anni orsono.