lunedì 11 ottobre 2010

Città e campagna

La campagna è rappresentata generalmente come luogo idilliaco, di meditazione, di calma assoluta, di nostalgia dei tempi andati, di immobilismo, di fissità; di converso la città come luogo di opportunità di ogni tipo, di passatempi, di servizi vari, di traffico, di ambizioni, di tentazioni, di movimento. È l’insuperabile dualismo, letterariamente ben inteso, tra gli altri, nel I sec. a. C. da Orazio, maestro dell’ars vivendi, che nel corso della sua opera lo propone, con poetica acribia, nelle Satire (I, 1; II, 6) e nelle Epistole (I, 14) confessando, saturo ad un certo punto dell’urbanitas insidiosa, la sua predilezione per la campagna.
La discrepanza si presenta lungo tutto il cammino della storia umana, dallo sviluppo dell’urbanizzazione fino all’attuale globalizzazione, trovando la sua massima espressione nella società medievale, in cui il contadino della campagna circostante veniva percepito come uno straniero pericoloso e sospetto agli occhi del cittadino. Era tuttavia un’età mancante di libertà individuale, immobile, fissa, imperniata esclusivamente sull’appartenenza sociale data dal ruolo rivestito. La fine del medioevo fu segnata dal crollo, dalla frantumazione delle distinzioni di casta feudali e dall’affermazione di una potente classe di nobili e borghesi, ambiziosi e potenti, che vivevano entro le mura della città con fuori il resto della popolazione. Da lì i due sistemi di vita, cittadino/contadino, distinti geograficamente e socialmente, sono rimasti pressoché tali fino ai nostri giorni.
Qual è l’immagine e il funzionamento dei due sistemi oggi? La città è il luogo della bellezza e della funzionalità prossima: commercio, assistenza agli anziani, istruzione ai bambini, e formazione culturale per i giovani in strutture fondamentali quali sono le università, le biblioteche, gli archivi, il cinema, il teatro, i centri sportivi, musicali, artistici. In essa si esprimono idee sociali e politiche, anche se lontanamente da come lo facevano i Greci nell’agorà e i Romani nel foro, si scambiano opinioni, si analizzano tendenze, prospettive, efficienza. L’aspetto estetico dei centri storici tuttavia è altamente compromesso dal traffico automobilistico, dall’inquinamento e dalla mancanza di rispetto del decoro, la cui responsabilità ricade su ogni cittadino. La città vive inoltre altri due problemi: la scomparsa dei negozi di prima necessità, sostituiti dai centri commerciali posizionati nelle periferie, e la sicurezza non sempre garantita. I suoi ritmi sono frenetici, caotici, omologanti e poco spazio lasciano alla riflessione, al silenzio, alla visitazione interiore, cosa che invece è possibile in campagna attraverso il contatto con tutto ciò che è naturale e partecipante di un insieme atavicamente ben ordinato, dove tutti gli elementi sono concatenati. In un ambiente simile infatti l’uomo trova ristoro mentale, sollievo, appagamento, gode della gradazione del verde, contempla i tramonti, i cieli stellati, misura il tempo con l’osservazione del firmamento, del sole, della luna.
La campagna dunque è semplice, ignara, felice, abitata da gente ospitale, generosa, in contrapposizione alla realtà cittadina, spersonalizzante, diffidente, indifferente, individualista e affarista. La campagna purtroppo però si sta trasformando: è in corso un processo di disincanto dovuto ai cambiamenti di stile di vita, all’uso dei mezzi di comunicazione che tanto hanno contribuito al progresso quanto falsato quel senso genuino di vivere. Così anche la campagna è caduta nell’ormai diffusa confusione, ha perduto la spontaneità, si è smarrita, arginando le sane ed equilibrate usanze. Il tentativo di apertura verso il mondo, contro quella chiusura che da sempre le è stata attribuita, è disorientato. A ciò si aggiunga l’ostinazione di antropizzare il territorio campagnolo, disseminandolo di costruzioni dispersive, di insediamenti residenziali e produttivi, che non fanno altro che degradarlo.
Nonostante ciò, l’idillio campestre rimane laddove i cani ringhiano prima dei temporali, i gatti si arrampicano sugli alberi e ricadono sempre di testa iniziando a fare i rotolini nella totale libertà, le pecore esprimono la loro mansuetudine, i galli col loro canto annunciano l’inizio di un nuovo giorno, puntualmente ogni giorno, contagiando i loro vicini, le cicale cantano, le rane gracidano, gli asini ragliano, gli uccellini pispigliano. Tali presenze agresti rendono lo spazio armonico, lo colorano, lo rallegrano. Inoltre passeggiare nei boschi, nei prati aiuta a superare molte paure innate nell’uomo e a sviluppare un controllo degli stati emotivi. L’uomo tende ad imporre il proprio dominio, a discostarsi dall’ambiente naturale che lo sostenta dimostrando una scarsa capacità di sapersi muovere tra ciò che ha trovato e che deve rispettare per sopravvivere, arando e coltivando, attraverso un’efficace e funzionale riqualificazione dell’agricoltura, e ciò che invece è stato da lui plasmato razionalmente, artisticamente.
Su tali differenze si deve soffermare la riflessione senza fare della campagna il luogo dei villani e della città quello degli aristocratici, in quanto le due realtà devono interagire e sostenersi vicendevolmente. A tal proposito si tenga presente il noto modello di vita esemplare di Cincinnato, vissuto a ridosso dell’epoca repubblicana romana, uomo politico, nel senso greco del termine, e agricoltore al tempo stesso. (scritto da Antonella Tennenini)