In ogni epoca la lamentela generale è stata quella dell'imperante dissoluzione dei costumi (rispetto alle precedenti generazioni) e all'eccessivo progresso tecnologico e sociale che, alla lunga, corromperebbe l'equilibrio naturale dell'ambiente e della società. Riferimenti in tal senso si possono trovare nei testi dell'antica Grecia e negli Acta dell'impero romano. E, in ogni epoca storica, sembra di essere giunti al limite del non ritorno; eppure non è così, anche se un giorno questo pianeta e i suoi abitanti saranno destinati a scomparire quale risultato di una combinazione matematica che investe l'intero Universo.
Nel frattempo le scorie della civiltà si accumuleranno cicli dopo cicli alla ricerca di aggiornamenti morali, giuridici, economici, tecnologici, ecc. in grado di fronteggiare lo strisciante mutare nel modo di sentire e vivere gli avvenimenti del proprio tempo. Allargando sempre più l'orizzonte, le frontiere e quella specie di responsabilizzazione che scarica ad altri (persone o eventi) la soluzione dei fatti quotidiani. Come i cerchi nell'acqua creati dal sasso ivi gettatovi. Se qualcuno viene colto con le dita nel barattolo della marmellata ha buon gioco nel dire che non è stato il primo e non sarà l'ultimo. Se un comune deve raccogliere la spazzatuta o gestire un parco darà vita ad appositi enti che non faranno altro che appesantire il bilancio comunale con la creazione di comitati di studio e dipartimenti di competenza, allargando il cerchio delle competenze. E così via.
In sostanza, dalla politica alla prassi personale, quando non si è in grado (per incapacità) o non si hanno soluzioni, si rimette il problema al futuro, agli altri, ad ulteriori competenze. Invece di semplificare si moltiplica.
Per esempio le provincie se rispecchiano caratteristiche storico-ambientali (da conservare e valorizzare attraverso i beni culturali e il turismo) potrebbero essere utili in quanto insite nel territorio, così come il coordinamento tra i vari comuni in materia di scuole, viabilità, sanità al fine di razionalizzare le risorse evitando doppioni e sprechi. O una visione ed un controllo mappato delle prefetture sull'andamento della criminalità organizzata o meno. Le micro-provincie non rispondono a questo scopo così come i consigli provinciali non servono a nulla, solo a distribuire incarichi con prebende; meglio quindi sarebbe abolirli (specie ai fini del recupero di risorse finanziarie e per evitare intromissioni politiche nella pubblica amministrazione). Le provincie potrebbero essere, per un funzionamento migliore e più veloce, articolate in uffici esecutivi con modesti (ma essenziali) poteri locali facenti capo alla regione. Da enti locali politicamente autonomi a indicazioni geografiche con particolari e limitate deleghe.
Ricondurre tutto a sintesi ed unitarietà è la strada migliore per ostacolare la tendenza alla frantumazione (confusionaria) e alla deresponsabilità. A meno che anche il decano non abbia avuto, dato il clima di questi giorni, un colpo di sole.