La vita umana fluisce attraverso le quattro note stagioni, infanzia, adolescenza, giovinezza, vecchiaia, che per disposizione naturale non si possono invertire, cambiare d’ordine, ma solo accettare, cercando di cogliere ciò che sono e che offrono di più o meno interessante, gioioso, problematico. Affrontare la vita, apprezzandola e valorizzandola nella sua varietà e immensità, è un impegno costante da svolgere attivamente con un certo approccio etico e nel tempo saggio. In particolare, la distinzione delle diverse fasi vitali diventa netta, con un discreto grado di consapevolezza, tra giovinezza e vecchiaia, simboliche del più ampio divario esistenziale mutevole, che va compreso per non incappare in uno stadio di infelicità. Insomma è opportuno che ognuno viva per l’età che sta attraversando, rispettando la conseguente e inevitabile evoluzione fisico-estetica e morale. Ciò non sempre accade, non a tutti, per svariate cause riconducibili sostanzialmente a maturità, coscienza, dissidio tra essere e apparire. Dunque, dei tanti aspetti che possono essere presi in considerazione in merito all’avvicendarsi delle età dell’uomo, qui si richiama l’attenzione sul possibile sbilanciamento di potere in seno alla società tra vecchi e giovani, che attecchisce nella cosiddetta gerontocrazia (dal greco, potere degli anziani).
Intanto vale la pena ricorrere da subito al Cicerone del De Officiis (I, 24), opera intrisa di grande humanitas, per riferirsi e definire la ripartizione dei doveri: “E’ dovere del giovane rispettare gli anziani, scegliendo tra essi i più specchiati e stimati, per appoggiarsi al loro autorevole consiglio; ché l’inesperienza giovanile vuol essere sorretta e guidata dalla saggezza dei vecchi. […] Quanto ai vecchi, essi dovranno diminuire le fatiche del corpo e aumentare gli esercizi della mente; e dovranno adoprarsi ad aiutar di consiglio e di saggezza quanto più è possibile gli amici, la gioventù, e sopra tutto, la patria” (Cicerone, Dei doveri, a cura di Dario Arfelli, 1991). Tutto ciò, solo che condivisibile, viene trasmesso, sin dall’infanzia, attraverso il senso civico. Pertanto sul filo dell’assunto ciceroniano, il giovane è spinto da freschezza di idee, ardore, entusiasmo, voglia di fare – che non devono e non possono essere abbattuti, piegati – perché ha un futuro avanti a sé, mentre il vecchio dovrebbe aver raggiunto un livello di saggezza tale da consentirgli di mettere a disposizione il suo background esperienziale alle generazioni future. Purtroppo non fila sempre così. Anzi, una fetta di geronti – che nell’antica, non quella di oggi, purtroppo malridotta, dilaniata Ellade, erano il baluardo della tradizione! –, ben posizionati socialmente, sono quasi intoccabili, gelosi, invidiosi, pronti però a sistemare la loro prole come meglio possono. E il merito? Meglio attenersi strettamente al tema.
Sarà un paragone forse azzardato, ma neanche troppo se fondato sul confronto, sullo scambio generazionale, e non sullo scontro, sullo “sgomitare”, stando ciascuno al proprio posto, il seguente: non potrebbe rendere orgogliosi i “veterani” il veder crescere professionalmente i “novellini”, grazie anche al loro supporto, come accade ad un maestro autorevole, appassionato del suo mestiere, nei confronti dei suoi allievi? In fondo i giovani, soprattutto quelli che contano esclusivamente sulle loro forze per affermarsi e che sono disposti a dare un apporto significativo e determinante nell’ambito in cui operano, necessitano di modelli costanti, basati su exempla. Questo medesimo principio li porta ad essere spontaneamente deferenti sia verso il prossimo gerarchico che verso il loro impiego.
Se gli anziani seminano bene, i giovani raccolgono i loro frutti da cui ripartire per contribuire ad un miglioramento, un rinnovamento sensato della società, poggiante su basi solide, azioni paradigmatiche. È lo scambio generazionale appunto, che richiede fiducia reciproca. Non ci si può solo riempire la bocca di una vacua retorica esaltante: “i giovani sono il futuro del Paese”. Lo sono veramente, ma è necessario dargli il giusto spazio, riconoscendogli un ruolo, delle responsabilità. La frase formulata nella sua semplicità, a mo’ di slogan, è carica di significati importanti, che non possono essere certo banalizzati. La gioventù è simbolo di forza, di vigoria, di energia baldanzosa, da riversare, canalizzare e orientare in percorsi che possono presentarsi più o meno irti, ma in ogni caso, se ben compiuti, vantaggiosi per il bene comune. Il futuro è per definizione la dimensione temporale incerta, verso la quale però i giovani proiettano i loro progetti, piani, obiettivi, oggi la più bistrattata e ridicolizzata a causa del venir meno della fiducia e della speranza in esso.
Fermo restando il sacrosanto rispetto per ogni persona e in ogni situazione, in merito a quanto trattato, a conclusione è il caso di allacciarsi all’esergo (NdR: inteso come spazio complementare contenente una citazione) a I vecchi e i giovani di Pirandello: “ai miei figli, giovani oggi vecchi domani”. E la ruota continua il suo giro! (scritto da Antonella Tennenini)