mercoledì 18 febbraio 2015

Andiamo in guerra?

In questi giorni abbiamo avuto una carrellata di pareri sulle vicende della guerra che l'Isis conduce contro l'Occidente e in favore di un califfato politico-religioso musulmano, dalla Turchia all'Algeria. Tutti si sono addentrati in analisi con dovizia di considerazioni ma senza avere conoscenza di prima mano o verificabile della realtà. Hanno espresso il loro giudizio per spirito di dialettica, opinioni stimolate dalla vanità di dire qualcosa.
Neppure i cosiddetti servizi segreti conoscono a fondo la situazione, si basano sulle informazioni ricevute dai servizi amici o dai soliti fantasiosi "informatori" prezzolati. I vertici dei militari sono per una risposta dura, con le armi; tanto in guerra non ci vanno loro che la dirigeranno da postazioni ben protette con l'obiettivo di ricevere dei nastrini da aggiungere all'uniforme, progressioni di carriera e soldi. Dei politici meglio non parlarne: non conoscono la situazione del loro Paese e vorrebbero illustrarci quella degli altri. Il corpo diplomatico all'estero, per antica tradizione, prevede sempre quello che ritiene che possa fa piacere al governo.
Viviamo in un'epoca confusa e multiforme, come tentare di scoprire l'opinione pubblica della popolazione musulmana? Col metodo inde: avvicinare i mini-leaders locali (capi clan, giornalisti, insegnanti, imprenditori, burocrati, etc.)  e gli occidentali ivi residenti per farsi raccontare la vita di ogni giorno e il loro parere che, inevitabilmente, sarà l'opinione di quel settore di pubblico (oggettivo-soggettivo)  che rappresentano.