mercoledì 1 giugno 2011

L'Unità d'Italia

Comunemente si afferma che l'Unità d'Italia si è compiuta grazie all'ideologo  Giuseppe Mazzini  e al condottiero Giuseppe Garibaldi. Il fatto è innegabile ma alla base del successo c'è stato un sentimento tra la popolazione, anche se non percepito nella sua interezza, di adesione alla visione nazionale e di voglia di partecipazione, senza il quale i fautori del Risorgimento non avrebbero avuto proseliti e successo. Quindi ancor prima dell'azione c'è stata una preparazione all'evento; un cammino iniziato dalla borghesia nei salotti, nei caffè e attraverso i giornali. I fautori dell'Unità d'Italia scambiandosi le idee attraverso degli strumenti (giornali ed incontri) hanno consolidato le loro visioni che, a loro volta, hanno trasmesso al popolo (il comparente che se ne è fatto carico partecipando attivamente). 
Un moto iniziale partito dalla borghesia in quanto categoria benestante e alfabetizzata. Questa aveva un abbondante  tempo libero da dedicare alle letture e alle chiacchiere, al contrario del ceto popolare (analfabeta) che quel poco tempo libero rimasto dalle 12-16 ore lavorative giornaliere lo dedicava al bicchiere di vino e al riposo ristoratore. In proposito ricordiamo che nella prima guerra mondiale (1915-18) moltissimi contadini del Sud chiamati al fronte non avevano idea di cosa fosse la Patria o l'Italia e che sino alla Breccia di Porta Pia (l'ingresso dei bersaglieri a Roma) persino i lavoranti del Vaticano avevano un'orario di 12 ore.
Qualsiasi idea per essere realizzata ha bisogno di essere divulgata e fatta propria dall'opinione pubblica. Non per nulla in demodoxalogia diciamo che, per il successo di qualsiasi comunicazione, tra la notizia (il fatto o idea), lo strumento (veicolo d'informazione che può essere anche un salotto casalingo o un'osteria) e il pubblico (colui che riceve le informazioni), ci deve essere un nesso legato all'ambiente storico-culturale e alle modalità di divulgazione.
Quando parliamo del Risorgimento citiamo, tra i precursori, la Frusta di Giuseppe Baretti, il Monitore di Giovanni Antonio Ranza, il Giornale di Giovanni Rasori e tutti gli altri giornali letterari (come il Monitore Italiano di Ugo Foscolo) che contribuirono alla diffusione di un'opinione pubblica nell'affermare che "dove il popolo non è libero la nazione non è indipendente: l'Italia dev'essere anzitutto libera (i cittadini cioè devono aver conquistato i loro diritti di libertà), quindi raggiungerà la sua unità e la sua indipendenza", come scrisse proprio Foscolo nel 1798. Un maestro della demodoxalogia, Giuliano Gaeta (nato nel 1904, allievo di Paolo Orano e poi docente di Storia del Giornalismo all'università di Trieste), nel rintracciare i moderni progenitori dello spirito dell'evoluzione nazionale, cita l'articolo di Gian  Rinaldo Carli apparso nel 1765 sul Caffè: "Divenghiamo pertanto tutti di nuovo italiani, per non cessare d'essere Uomini". Un articolo dal titolo Della patria degli Italiani che, secondo Gaeta, "può bene considerarsi un precursore di quel Mazzini che, nel secolo successivo, aspirerà alla realizzazione giuridica di una umanità unita e libera attraverso la formazione statale delle varie nazioni, pure unite e libere."
Tra un'idea e la sua realizzazione occorrono strumenti idonei per divulgarla e tempi lunghi poichè l'opinione pubblica (a differenza della folla che è fugace, è il momentum di un movimentum) è tendenzialmente conservatrice, in quanto paurosa delle novità. E, in una società in continuo movimento, mutando la tecnologia (dalla carta alla tv e Internet) si adeguano necessariamente anche le modalità di diffusione e percezione delle informazioni, coi conseguenti riflessi sull'insieme della società (dai comportamenti ai valori, dai bisogni alle istituzioni, ecc.).

Venerdì: dopo lo spoglio dei voti