A giugno saremo chiamati ad esprimere il nostro parere su alcuni quesiti referendari. Uno di essi riguarda l'acqua, nel senso che dovremmo esprimerci in tema di gestione pubblica oppure privata. L'acqua è un bene pubblico in quanto sfocia naturalmente dalla Terra, sostengono i promotori del referendum, ed è un bene essenziale per la vita (umana, animale e vegetale), pertanto il suo uso non può essere dato in gestione ai privati. Anche il petrolio zampilla dalla terra ma non è un bene primario! Se vincessero i fautori del bene pubblico dovrebbero sparire le varie aziende imbottigliatrici e distributrici delle varie acque oligominerali, cioè di quelle stesse acque che sgorgano dai rubinetti casalinghi, in quanto tutte le acque hanno tracce di sodio, magnesio, nitrati, calcio, solfati, ecc. in misura più o meno varia da zona a zona. Attualmente alcune acque gestite dagli enti pubblici hanno anche l'arsenico ma, ci rassicurano gli addetti ai lavori, in tracce infinitesimali rispetto agli altri sali minerali e pertanto tollerabili per la nostra razione quotidiana.
Se dovessero vincere i fautori del bene pubblico, siamo sicuri che, come accaduto col finanziamento ai partiti, l'abolizione di qualche ministero e altri referendum, tutto rimarrebbe come ora in quanto gli interessati (le aziende che lucrano sull'acqua) sosterrebbero che, sì l'acqua è pubblica ma portarla a casa del cittadino ha un costo di gestione che l'ente pubblico non è in grado di sopportare (nonostante il canone); quindi meglio appaltare la distribuzione dell'acqua ai privati che la preleverebbero dalle stesse fonti (con ferro, zolfo e arsenico) adeguando però il canone da far pagare agli utenti ai prezzi di mercato!
Rimarrebbe il principio che l'acqua è un bene pubblico, è di tutti; così come il principio libertè, fraternitè, egalitè patrimonio costitutivo di ogni formazione politica. Principio posto come cappello ad ogni attività politica forse per coprire pietosamente la reale prassi.
Al pari dell'acqua anche la Terra è di tutti, è stato così per milioni di anni quando prima i brontosauri poi scimpanzè ed ominidi scorazzavano alla ricerca del cibo, senza demarcazione territoriale di competenza. Sino a quando qualcuno, ponendo dei paletti, sostenne - armi alla mano - che quel pezzo di terra (con relative persone ed animali) era di sua esclusiva proprietà. Con il tempo l'occupazione terriera fu giustificata in base ad altisonanti emblemi di casate, quindi da principati e poi dalla creazione degli stati nazionali che, per essere tali, dovevano avere un confine ed una popolazione soggetta a tributi; salvaguardando però il principio della sacralità della terra in quanto data in uso agli umani dalle deità delle varie religioni. Lo stesso appropriarsi di pezzi di terra risponde al principio che essendo di tutti (universalità) è anche del soggetto che l'occupa (reversibilità) per il soddisfacimento dei suoi bisogni.
L'acqua e la terra sono necessità primarie per ogni cosa vivente, basta osservare le migrazioni degli uccelli o dei pesci. Biblica è stata la migrazione di quella tribù egiziana oggi insediata in Israele, dei coloni greci che fondarono trecento città nell'area del Mediterraneo lasciando una copiosa civiltà, delle cosiddette invasioni barbariche di popolazioni in cerca di terre fertili, dei coloni che contribuirono a fondare gli Stati Uniti d'America, degli stessi possedimenti coloniali quale simbolo di prestigio e, al contempo, sfruttamento di risorse. Lo spostamento di popolazioni (migrazione) da una parte all'altra del globo non rappresenta una novità in quanto chi emigra in cerca di una vita migliore è motivato dallo stesso concetto del bene pubblico (o dono di Dio) dell'acqua e della terra. Dove ci sono i beni essenziali per la sopravvivenza (acqua, terra, lavoro) c'è spazio e futuro: lo scopo stesso del genere umano: dar luce ad altre vite umane. Pertanto l'emigrante è portatore di un diritto internazionale e naturale insopprimibile!