venerdì 7 ottobre 2011

La voce muta

Nel saggio "La voce muta. Analisi dell'Opinione sociale nel dopoguerra" (ed. Ecig Genova 2009) Mascia Ferri,  tra l'altro ha esaminato i rapporti intercorrenti tra l'opinione pubblica, l'informazione e la democrazia compiuta; un tema caldo, oggetto da sempre di critiche e commenti, in quanto il bilanciamento tra politica, informazione e cittadini concorre a formare e garantire un Paese democratico ma, purtroppo, una delle tre forze prevale sempre sulle altre e l'opinione pubblica (i cittadini) non sono mai dalla parte vincente.
L'autrice sostiene che occorre ridefinire il concetto di opinione pubblica per comprenderne il ruolo, anche in considerazione degli sviluppi che la Rete comporta. Ma per far questo occorre prima superare "due impostazioni pregiudiziali e contraddittorie: una che attribuisce alla stampa il ruolo di portavoce e di formatore dell'opinione pubblica; l'altra che considera i cittadini soggetti politicamente competenti che esprimono un'opinione sempre corrispondente alla loro volontà".
Su questo dilemma si incentrano le riflessioni della Ferri che vede nell'influenza dell'informazione un contributo (fornendo il materiale) alla formazione delle idee, e quindi all'elaborazione di un'opinione, come conseguenza del risultato di processi cognitivi complessi ove la diretta esperienza "ha molto più peso della visione o lettura" del fatto stesso. Formazione dell'opinione pubblica che, in una società democratica intesa come un insieme di procedure da rispettare, rende gli individui cittadini attivi "col fine ultimo di produrre un miglioramento economico, politico, emozionale", reso possibile da una qualità di informazione accompagnata dalla pluralità, accessibilità e trasparenza.
Mentre come demodoxaloghi concordiamo sulla diffusa incompetenza, o preparazione culturale, dei cittadini nel valutare le opzioni politiche riteniamo che il giornalismo (nel suo insieme: radio, stampa, tv, internet) ha concorso e ancora concorre a formare l'opinione di coloro che seguono costantemente una determinata emittenza o testata di carta stampata, proprio in virtù di quel processo cognitivo pilotato dai proprietari dei canali dell'informazione. Un processo di informazione di idee che passa dagli strumenti agli utenti (pubblico) e da questi alla restante popolazione con una dialettica di scontro tra opposte opinioni che, in questo caso, chiameremo "pubbliche" in quanto espressione di determinati pubblici: i tifosi dei vari schieramenti.
Ben diverso il caso di quell'opinione pubblica risultante dai sondaggi campionari o sbandierata per fini politici o altro, che non è la risultante di specifici agglomerati di persone definiti pubblico ma la media statistica di un insieme di universo disomogeneo, se il sondaggio è correttamente svolto, quando addirittura non falsato per necessità politico-economiche del committente.
Per la ricercatrice le "strategie politiche, veicolate dai mezzi di comunicazione, dovrebbero passare in secondo piano rispetto a un'informazione il cui compito sarebbe di indurre partiti e Parlamento a vagliare le proposte provenienti dalla società civile." Strategie, invece, passate come opinione pubblica del "popolo passivo" (i cittadini che non esercitano l'azione diretta di governo) in contrapposizione o appoggio al "popolo attivo" (coloro che esercitano la rappresentanza politica). L'Italia  è un Paese democratico che sancisce il principio della libertà di stampa, ma "ciò non implica un automatico riconoscimento del valore dell'opinione pubblica nel processo decisionale". Ecco allora il tema di fondo di Mascia Ferri che si appella alla Costituzione quando afferma che "Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente" e che "La sovranità appartiene al popolo" ma come attuare i due principi se non attraverso "regole che implicano un rapporto di relazione stabile attraverso la libera informazione, la libera comunicazione e la libera partecipazione"?
Su questo tema si inserisce il declino della carta stampata e la crescente informazione tecnologica dei media digitali per definizione rappresentati da Internet in un quadro ove i mezzi di comunicazione svolgono un ruolo sussidiario e talvolta persino sostitutivo delle istituzioni (partiti e parlamento) che nel passato mediavano tra il potere e il popolo. I nuovi media non sono la panacea per un risveglio della democrazia, anche se negli Usa hanno svolto un certo ruolo, ma è la buona informazione che crea consapevolezza nell'uso delle nuove tecnologie e partecipazione dei cittadini alla vita democratica.
"I media, da soli, non possono produrre una comunicazione efficace per la formazione di un'opinione pubblica democraticamente intesa, e non hanno neppure interesse a farlo, così come interesse potrebbe non averlo persino il mondo della politica. - conclude la Ferri - La debolezza dei cittadini di fronte al tema dell'informazione è perciò questa: essi non possono interamente demandare un ruolo che dovrebbero svolgere anche in prima persona". In attesa della democrazia compiuta anche nel nostro Paese la ricercatrice suggerisce i Press Councils adottati all'estero.