martedì 7 ottobre 2014

Art. 18 & Tfr

- Quasi tutti i sindacalisti sono contrari all'abolizione dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori mentre tra i datori di lavoro parecchi sono gli indifferenti, in particolar modo tra le medie e piccole aziende: quelle che hanno meno di quindici dipendenti, ove i rapporti sono meno formali e più umani.
L'art. 18 vieta il licenziamento per motivi arbitrari (donne in maternità, appartenenze religiose o politiche, scarsa produttività) ma nasconde il vero punto di vista dell'imprenditore: il licenziamento dei sindacalisti e di quei lavoratori che sono soliti protestare, aizzare i compagni, far valere i diritti in modo puntiglioso, organizzare dimostrazioni, ecc. con danno alla produzione e alla disciplina delle maestranze.
Inoltre il sindacalista ha dei giorni pagati dall'azienda per vere o presunte (a seconda della coscienza del soggetto) assenze a causa di incombenze sindacali e, in periodi di crisi, pagare un dipendente che non lavora costituisce un aggravio di costi!
 
- Il tfr è quella parte di salario che viene accantonata dal datore di lavoro per essere consegnata alla fine del rapporto con l'azienda, qualche anno fa governo, sindacati e imprese si misero d'accordo per poter mettere le mani sul tesoretto e gestirlo, nell'interesse del lavoratore (ogni mascalzonata si presenta con un fine etico), per farlo fruttare il più possibile sino a raggiungere un bel gruzzoletto da dare al lavoratore alla fine del rapporto di lavoro.  Ma non tutti sono capaci di gestire i cosiddetti fondi di investimento, neppure i professionisti della finanza più o meno creativa, figuriamoci un padroncino o un sindacalista che misero in piedi dei fondi (consorziandosi) proprio per poter mettere le mani sulla gestione del denaro dei lavoratori. Ovviamente lasciando la scelta di aderire o non al dipendente lavandosi così le mani da un'eventuale gestione fallimentare dell'improvvisato fondo.
Non tutti aderirono alla proposta e le aziende col residuo trattamento di fine rapporto in loro mani seguitarono a fare quello che avevano sempre fatto: finanziare l'impresa col denaro dei lavoratori!
E' questo il motivo per il quale molte aziende che falliscono non hanno neppure l'accantonamento che dovrebbero restituire ai dipendenti: lo hanno speso in investimenti sbagliati o in conseguenza della non prevista crisi aziendale, quando non si tratta di vera e propria truffa! Scorporare il tfr dall'azienda per assegnarlo all'Inps o alla cassa depositi e prestiti garantirebbe i lavoratori sull'effettivo incasso al termine del rapporto di lavoro. Ma la lobby delle aziende non lo permetterebbe mai!
Sinora col tfr l'impresa si finanziava a basso costo (remunerando il prestito con l'interesse previsto dallo stato) trattenendo per se l'eccedenza del ricavato che - in fatto di logica e diritto - sarebbe dovuto spettare al lavoratore in quanto il guadagno è stato ottenuto con "i suoi" denari accantonati, correndo il rischio dell'insolvenza. Altre volte l'azienda chiedeva un prestito alle banche dando per garanzia, oltre al capitale proprio, il fondo accantonato dei lavoratori.
Stante quanto sopra è chiaro perché l'impresa è contraria a mettere mensilmente la quota di tfr in busta paga!