In un film di successo con Totò e Peppino De Filippo ricordiamo due contadini meridionali che giunti a Milano chiedono ad un vigile urbano "Per andare dove dobbiamo andare, che strada dobbiamo fare?". Una battuta tornata d'attualità poichè politici di destra e di sinistra, passando per il centro, si stanno interrogando sul futuribile della politica, gli sbocchi della crisi e l'eventuale avvento della terza repubblica. Tutti si rendono conto che qualcosa sta cambiando nell'arena politica ma non intravedono scenari e direttrici di marcia, da qui la domanda: per andare dove ancora non sappiamo, che percorso dobbiamo fare?
E' una domanda che si rivolgono l'un con l'altro: il politico con il giornalista e questi con il politologo. Se invece di parlarsi fra loro rivolgessero la domanda al popolo, quest'ultimo saprebbe, senza incertezze, che indicazioni dare: andate a f......
Il miglior commento alla situazione politica italiana dei giorni scorsi l'ha dato il quotidiano francese Le Monde. Una vignetta raffigura Silvio Berlusconi che esce dal portone di palazzo Chigi (la sede del governo) portando sulle spalle una gioiosa escort mentre entra Mario Monti con a cavalcioni un banchiere americano.
Per esperienza personale abbiamo sempre sostenuto che il potere nei ministeri non è nelle mani dei ministri ma in quelle dei direttori generali e dei capi di gabinetto, sia perchè si danno manforte l'un con l'altro essendo quasi tutti legati da una specie di confraternita di logge massoniche e sia perchè loro restano nella carica mentre i ministri passano; quei ministri con i quali devono concordare provvedimenti di legge o modifica di articoli. Nel governo di Mario Monti abbiamo ministro dell'Ambiente l'ex direttore generale, un ammiraglio in servizio al ministero alla Difesa, un potente ambasciatore agli Esteri, un prefetto all'Interno e allo Sviluppo quel banchiere che elargiva denari alle imprese realizzatrici delle cosiddette grandi opere e la cui banca ha consistenti pacchetti azionari delle società di infrastruttura.
Che Monti intenda accelerare le riforme eliminando il lungo e faticoso confronto, che c'è sempre stato tra struttura e ministro, passando il comando di elaborazione e decisione in una sola mano ministeriale? Oppure, preso atto della cronica situazione, è venuto a patti con l'evidenza?
Il miglior commento alla situazione politica italiana dei giorni scorsi l'ha dato il quotidiano francese Le Monde. Una vignetta raffigura Silvio Berlusconi che esce dal portone di palazzo Chigi (la sede del governo) portando sulle spalle una gioiosa escort mentre entra Mario Monti con a cavalcioni un banchiere americano.
Per esperienza personale abbiamo sempre sostenuto che il potere nei ministeri non è nelle mani dei ministri ma in quelle dei direttori generali e dei capi di gabinetto, sia perchè si danno manforte l'un con l'altro essendo quasi tutti legati da una specie di confraternita di logge massoniche e sia perchè loro restano nella carica mentre i ministri passano; quei ministri con i quali devono concordare provvedimenti di legge o modifica di articoli. Nel governo di Mario Monti abbiamo ministro dell'Ambiente l'ex direttore generale, un ammiraglio in servizio al ministero alla Difesa, un potente ambasciatore agli Esteri, un prefetto all'Interno e allo Sviluppo quel banchiere che elargiva denari alle imprese realizzatrici delle cosiddette grandi opere e la cui banca ha consistenti pacchetti azionari delle società di infrastruttura.
Che Monti intenda accelerare le riforme eliminando il lungo e faticoso confronto, che c'è sempre stato tra struttura e ministro, passando il comando di elaborazione e decisione in una sola mano ministeriale? Oppure, preso atto della cronica situazione, è venuto a patti con l'evidenza?