Il senatore Luigi Lusi è stato scaricato dai suoi colleghi e costretto a varcare il carcere in stato di detenzione, secondo la formula: ne colpisco uno per salvarne cento. Fin dai tempi della DC i partiti e i sindacati intestavano al tesoriere o al segretario nazionale o presidente (a seconda di quanto previsto dallo statuto) molti beni del partito per essere gestiti in modo più disinvolto e fuori bilancio, infatti molti indagati ai tempi di tangentopoli hanno pagato (o sono stati inquisiti) per risultare - come tesorieri - proprietari personali di giornali quotidiani o pacchetti azionari di società. La prassi era talmente comune che il Sifar, il servizio segreto gestito dal generale Giovanni De Lorenzo, aveva dei beni fuori bilancio (palazzi, alberghi, tenute agricole) intestati fiduciariamente ad alcuni generali che avevano giurato un patto di lealtà ma che, rimosso il capo del Sifar e modificata l'impostazione del bilancio delle Forze Armate, non seppero come restituire, pena l'arresto per violazioni delle leggi.
Orbene anche il senatore Lusi, su mandato fiduciario dei suoi colleghi di partito, ha seguito la prassi in voga nella prima repubblica per meglio gestire il patrimonio della Margherita al riparo da occhi indiscreti. E ha anche elargito i profitti a questo o quel ex collega (non interessa a qual fine anche se è noto che furono denari per rinforzare o creare correnti, formazioni politiche o concorrere nelle fondazioni di studi politici). L'unico errore è stato quello di non essersi fatto rilasciare ricevute (altrimenti che rapporto "fiduciario" era?) da quelli che ora negano di aver avuto qualcosa. Per cui ora gli ex amici lo accusano di furto e menzogne reclamando prove a loro carico, Lusi invece afferma di aver dato. A chi credere? Giuridicamente, in mancanza di prove, non sono credibili nè l'accusato nè gli accusatori.
Eppure quale ex Dc si sarebbe dovuto ricordare del motto popolare "Dagli amici mi guardi Dio che ai nemici ci penso io".
Domani: La Federazione civica
Giovedì: Sua Santità
Orbene anche il senatore Lusi, su mandato fiduciario dei suoi colleghi di partito, ha seguito la prassi in voga nella prima repubblica per meglio gestire il patrimonio della Margherita al riparo da occhi indiscreti. E ha anche elargito i profitti a questo o quel ex collega (non interessa a qual fine anche se è noto che furono denari per rinforzare o creare correnti, formazioni politiche o concorrere nelle fondazioni di studi politici). L'unico errore è stato quello di non essersi fatto rilasciare ricevute (altrimenti che rapporto "fiduciario" era?) da quelli che ora negano di aver avuto qualcosa. Per cui ora gli ex amici lo accusano di furto e menzogne reclamando prove a loro carico, Lusi invece afferma di aver dato. A chi credere? Giuridicamente, in mancanza di prove, non sono credibili nè l'accusato nè gli accusatori.
Eppure quale ex Dc si sarebbe dovuto ricordare del motto popolare "Dagli amici mi guardi Dio che ai nemici ci penso io".
Domani: La Federazione civica
Giovedì: Sua Santità