Il costituzionalista Michele Ainis, docente all'università di Roma Tre, ha affermato che le vere riforme sono quelle che in qualche modo scontentano una parte per favorirne un'altra; ed è questo il motivo per cui non si fanno o si fanno male: per salvare i privilegi acquisiti. In un documento governativo del 1971 (il libro bianco) si sosteneva l'urgente avvio di riforme in tema di spesa della pubblica amministrazione, sanità e altro, cioè le stesse cose che si ripetono quarantadueanni dopo! E' da tutti avvertita la necessità di un ritocco del Parlamento per trasformare il Senato da doppione legislativo della Camera ad organo di partecipazione e programmazione della società civile ma la riforma dovrà avvenire anche con il voto dei senatori, così come la riduzione dei parlamentari.
Lo stesso accade con la legge elettorale: i partiti più forti invocano basse soglie di accesso al parlamento, i movimenti politici minori chiedono la rappresentanza senza soglie di sbarramento. Per consentire ai governi un cammino sicuro si invoca un premio di maggioranza che non stravolga i risultati elettorali. Per evitare infiltrazioni mafiose o l'ingerenza di forze economiche nei risultati elettorali i cosiddetti collegi uninominali (basati su piccoli frattali di territorio/popolazione) andrebbero aboliti per adottare liste elettorali su base nazionale o accorpamento di regioni; infatti più volte si è constatato che una guarnigione militare stanziata in un collegio elettorale abbia influito sul successo di questo o quel candidato così come alcuni eletti con un notevole numero di voti circoscritti regionalmente siano risultati collegati ad elementi mafiosi.
Una vera legge elettorale dovrebbe prevedere tutti gli elementi di garanzia, dal proporzionale alla stabilità governativa, ma come? Forse la soluzione potrebbe essere quella della legge francese che prevede i due turni: il primo proporzionale per il premier e i parlamentari, il secondo di ballottaggio (così come avviene oggi da noi per l'elezione del sindaco). Ovviamente con liste in ordine alfabetico, cosa non gradita agli oligarchi dei partiti.