Una volta c'era la Sip che era la compagnia telefonica di stato, gestita con criteri politici: dalle assunzioni alla programmazione. Molti dei suoi dirigenti una volta in pensione creavano (direttamente o indirettamente) ditte che ottenevano appalti per la manutenzione, installazione, verifica, ecc. di quanto necessario alla Sip per la sua attività. Il governo decise di privatizzarla ma non pensò a scorporare la rete dai servizi.
Sin dalla fine dello scorso secolo si è dibattuto sulle nuove tecnologie da applicare alla telefonia (banda larga o altro) ma tutto è rimasto fermo perchè una manina da fata trovava il modo di alimentare i pareri fittiziamente contrapposti per rinviare le soluzioni, con il beneplacido della competente amministrazione pubblica.
Ora siamo al punto che la rete (attraverso cui passano tutte le telefonie fisse e mobili) non può più procastinare il suo ampliamento e aggiornamento tecnologico che in questi anni non è stato fatto. La Telecom non ha le risorse sufficienti per tali lavori e si è offerta a un suo socio di riferimento (la telefonica spagnola) che non se la passa meglio. Di fronte all'aumentato potere di un socio e ad eventuali ma probabili ristrutturazioni le centinaia di ditte, che campano con i lavori eseguiti per la Telecom, e la maggioranza degli azionisti individuali o minori hanno paventato il pericolo che i cavi della rete vadano in mani straniere e chiesto l'intervento governativo.
La polpa è nell'adeguamento della rete alle nuove esigenze e, da sempre, c'è qualche imprenditore che ci sta pensando. E' una lotta commerciale tra colossi industriali che spingerà il governo a bloccare la vendita o scorporare la rete dai servizi. Ove, come al solito, le maggiori banche italiane (presenti nel consiglio d'amministrazione) curano gli interessi dei loro azionisti di riferimento.