venerdì 26 ottobre 2012

Politica allo sbando

Tra quattro o, al più tardi, sette mesi gli italiani saranno chiamati alle urne per decidere il nuovo presidente del Consiglio o la permanenza di Mario Monti. Per la prima volta dalla storia della repubblica i partiti si avvicinano alla consultazione in uno stato di grande confusione. Sinora le lotte sono state tra il comunismo del Pci e l'anticomunismo della Dc, dopo la caduta del muro di Berlino la scelta fu tra destra e sinistra, con l'avvento di Silvio Berlusconi la lotta si è concentrata o con lui o contro di lui. Oggi, gli ultimi sondaggi ci dicono che il Cavaliere difficilmente raggiungerà il 10% e sarà sorpassato persino dai grillini; il resto del Pdl è in cerca di salvezza e spera che Pierferdinando Casini accetti l'investitura di candidato dei moderati Pdl-Udc e aggregati minori.
Se Sparta (il Pdl) piange, Atene (Pd) non ride pur essendo al primo posto nei sondaggi: se alle primarie vincesse Matteo Renzi i comunisti storici (come Massimo D'Alema) potrebbero riversarsi su un nuovo partito di sinistra formato dall'aggregazione con Niki Vendola e di tutte le altre formazioni contrarie alla cosiddetta politica di destra ed a sostegno degli interessi politici-sindacali consolidati (banche, fondi finanziari, assicurazioni, cooperative di lavoro, catene di mercato, ecc.). Con la vittoria di Pier Luigi Bersani verrebbe meno al Pd quella piccola manciata di voti provenienti dagli elettori di destra della Lombardia e del Veneto, necessari per ottenere la maggioranza in Senato, le due regioni che faranno la differenza.
Gli ex votanti del Pdl sono circuiti dalle decine di nuove formazioni politiche, di Oscar Giannino, Luca Cordero di Montezemolo, Michele Boldrin per citare i nomi più conosciuti, che aspirano ad entrare in Parlamento ma che sanno di non farcela da soli. L'unico a ridere, e a farci ridere, sarà Beppe Grillo al secondo posto con il 20%. Il nuovo parlamento dovrà scendere a patti con lui, blandirlo e togliergli i parlamentari a suon di milioni.
Ma la confusione è ancora tanta, tutti aspettano i risultati delle elezioni regionali siciliane, della lotta interna al Pd e delle elezioni nella regione Lazio, ipotizzate entro la fine dell'anno. Sembrerebbe che il governo vorrebbe che si votasse entro pochi mesi nel Lazio e che la Lega di Roberto Maroni altrettanto in Lombardia; risultato: chiamata alle urne ravvicinata. Ma, a quel punto, per risparmiare un centinaio di milioni e portare a casa il calo dello spread e quel poco di buono che il governo di  Mario Monti ha fin qui fatto, non ultimo il riconquistato prestigio internazionale, gli italiani potrebbero essere chiamati al voto congiunto politico-regionale anticipato, spiazzando i partiti ed eliminando una lunga e dannosa campagna elettorale che ci riporterebbe sull'orlo del baratro economico. Per la Comunità europea, i mercati, le industrie e la finanza italiana ed internazionale sarebbe una mossa apprezzabile, che consoliderebbe la posizione italiana: prima si vota e prima si chiarirà la posizione dei partiti e la definizione delle ulteriori misure di facciata del bilancio dello Stato.
Non solo i politici (i vassalli) ma anche le fondazioni bancarie e i grandi nomi dell'imprenditoria (i prìncipi), che sinora hanno condizionato la politica e i politici,  sono in ansia: nel caos e nelle lotte tra destra e sinistra; chi se ne è avvantaggiato è stata la finanza, i politici e gli imprenditori disonesti. Però qualcosa sta cambiando, gli italiani hanno acquisito più informazioni e quasi il 50% degli aventi diritto al voto sta riflettendo seriamente tra la rottamazione di Renzi, l'astensione o il voto di protesta a Grillo. Tre parametri con un'unica matrice: basta con questa politica senza programmi e valori, lontana dalla realtà e dai bisogni della popolazione.

Lunedì: La crescita esponenziale