Il giornalista Marco Lillo de il Fatto quotidiano lo scorso 18 maggio nella trasmissione Omnibus della La7tv, a proposito della trattativa stato-mafia, ha raccontato come è possibile attraverso una catena di interventi gerarchici ammorbidire i processi. Più volte abbiamo accennato alla casualità di eventi del genere così come alla necessità di una riforma della giustizia. Dal nostro punto di vista la discussione sulla possibilità di passaggio dal ruolo di pubblico ministero a giudice o viceversa, che tanto appassiona il dibattito, è un argomento che svia dalla reale necessità di una riforma che tenga presente la garanzia per le parti in causa (imputato e difesa). Per evitare la possibilità di decisione del procuratore generale del tribunale a quale giudice debba essere assegnato un processo, o rimuovere per trasferimento o promozione un magistrato nel corso del processo civile che è quello che più interessa ai cittadini, basterebbero poche regolette:
- un giudice, promosso o trasferito, non potrà entrare nella nuova carica sino a quando non si saranno chiusi tutti i procedimenti che ha in corso, cioè aperti;
- l'assegnazione delle pratiche d'indagini penali dovrebbero avvenire per estrazione dall'urna dei nominativi dei pubblici ministeri alla presenza delle parti, così come l'estrazione del giudice per le cause civili;
- per evitare le lungaggini messe in atto per giungere alla decadenza dei termini, la prescrizione dovrebbe avere tempi molto più lunghi e non essere applicabile a procedimenti aperti, inoltre le testimonianze e le documentazioni dovrebbero essere stabilite nella prima udienza dal giudice, con l'ottica di limitarsi al necessario, evitando cioè i doppioni.
Per quanto attiene al risarcimento da parte di un magistrato che abbia emesso una sentenza dimostratasi ingiusta la questione è alquanto controversa: sapendo di dover pagare di persona in caso di errore giudiziario ogni giudice sarà psicologicamente portato a salvaguardarsi riducendo al minimo le condanne.