Per affrontare il futuro verso cui stiamo andando (che si prospetta assai diverso dal presente, come ogni epoca storica) e aggredire le difficoltà economiche del Paese i parlamentari si sono messi nelle mani del presidente Giorgio Napolitano. Avranno pensato: meglio un usato sicuro che qualcosa di nuovo e, in un certo senso, non gli possiamo dar torto. Ma quello spiritello maligno che è dentro di noi, e che ogni tanto si risveglia, ci suggerisce che più che al Paese abbiano pensato a tenere bene in caldo i posteriori per altri sette anni, ben sapendo come il capo dello Stato sia contrario ad elezioni elettorali a cascata.
Visto come sono andate le cose ci chiediamo se dal cilindro oltre alla saggezza dell'ottantaseienne (ultranovantenne fra sette anni) non avrebbero potuto far uscire un settantenne con esperienza politica internazionale, magari donna ma con tanto di c..... per aggredire amici, nemici e le incrostate situazioni che attanagliano il nostro Paese e l'economia. Riteniamo che stante il momento storico non servano decisioni condivise ma grinta e decisionismo: il grillismo (spirito di ribellione) lo si combatte con altrettanto spirito di rottura nel riformare le istituzioni ormai non più all'altezza dei tempi. Aggredire la paura, i clan d'interesse, le rendite parassitarie, la confusione ideologica e la connivente oppressione di gerarchie che dell'Italia ne hanno fatto il loro angolo di paradiso terreno.
Il Pd, l'unico partito sopravvisuto al terremoto della prima repubblica, non è più adatto ai tempi che verranno. Occorre una sinistra diversa, giovane, non impregnata ideologicamente ai vecchi schemi del social-comunismo e nuova nelle cariche politiche (cioè senza legami con compagni di merenda partitici, religiosi o economici). Non siamo renziani ma neanche contrari in quanto ci rendiamo conto che serve un giovane (magari di spirito) con idee nuove (che si possono avere anche a novantanni dopo aver ripudiato le vecchie). Il buon Pierluigi Bersani, con la sua politica del vogliamoci bene e veniamoci incontro, è ormai entrato nelle icone del secolo scorso di "Peppone e don Camillo" andando a far compagnia ad Achille Occhetto e Walter Veltroni.
I tre candidati del Pd per il Quirinale sono stati impallinati (come ai bei tempi della Dc) dai loro compagni di partito. Un partito che è divenuto la sommatoria di un quazzabuglio di vecchie cariatidi, di portaborse in cerca di un loro spazio, di giovani capitati per caso, di vecchi lestofanti e nuovi arrampicatori, ove ogni categoria ci ha messo del suo. Lo scontro si riassume tra e dentro gli appartenenti alla giovane generazione (i cosiddetti giovani turchi in ricordo dei rivoluzionari della Turchia che portarono il paese sulla strada della modernità ed i seguaci di Matteo Renzi) e i dirigenti che sono alla guida del partito (che ha mutato solo nome e simbolo) da oltre trent'anni; così come c'è lo scontro dentro la categoria culturale tra cattolici, laici e vecchi socialcomunisti. Sfruttando le contrapposizioni ogni capo-corrente ha fatto mancare i voti all'altro nella speranza o architettura strategica di poter, alla fine, far spuntare il suo uomo dopo il logoramento degli altri. Non ditemi, tanto per citare tre nomi importanti a solo titolo di esempio, che Massimo D'Alema o Renzi e persino Napolitano non abbiano in seno al partito dei fedelissimi seguaci che immaginavano sulla poltrona del Colle il candidato espresso dal loro gruppo.
Il caso di Stefano Rodotà è chiarificatore, anche alla luce delle dichiarazioni di Fabrizio Barca: se il Pd avesse votato per Rodotà, quindi aggiunto i suoi voti, quando lo hanno votato compatti (dopo averlo annunciato pubblicamente) i grillini ed il Sel Rodotà sarebbe risultato eletto al posto di Napolitano. Perché l'improvviso cambiamento di rotta? C'è qualcosa che non quadra.