venerdì 1 novembre 2013

La risposta del decano



Alle osservazioni di Fabrizio Cimini  sulla fine del giornalismo, pubblicate nei giorni scorsi, il decano così risponde:
"La tecnica, quale conseguenza delle scoperte scientifiche, ha da sempre condizionato il progresso umano migliorando la qualità della vita e l'autonomia del pensiero: dalla ruota alla cellula staminale. Nel campo dell'informazione giornalistica (giornale = notizia del giorno) siamo passati dagli acta dei romani affissi al foro alle gazzette commerciali del 1700 ma la prima opinione pubblica moderna risale a l'ami du Peuple di Jean-Paul Marat. Il Risorgimento italiano devesi a decine di giornali e circoli culturali che coltivarono e trasmisero l'idea dell'unità nazionale. In Italia l'avvento della televisione ha contribuito, in modo determinante, ad alfabetizzare e far partecipare alla vita sociale milioni di contadini ed operai che erano ai margini dello Stato.
Ogni miglioramento - per qualità, diffusione e velocità - di un'invenzione, col passare dei secoli, uccide la precedente relegandola tra le antichità; così come scompaiono mestieri e figure professionali (che limitatamente sopravvivono nei periodi di crisi economica): dal calzolaio al giornalista della carta stampata seguito da quello radiotelevisivo. Il tramonto di un'attività lavorativa è sempre preceduto da un boom di addetti al settore ma con scarsissima qualità professionale. 
Nel mondo dell'informazione ancora siamo nell'epoca di coloro che sono depositari del "sapere" e che in virtù di ciò comandano, indicando agli altri quali cose conoscere e come. Clero, giornalisti, docenti, politici e scienziati appartengono a delle caste che, per antica tradizione, si sono attribuiti il compito di educare la società. L'avvento del computer è stato il segnale di una svolta epocale: la partecipazione di massa all'uso degli strumenti per fare informazione. Però mentre prima le caste che informavano si erano preparate al compito, con anni di studi e attesa, per essere poi definite come appartenenti alla categoria degli intellettuali, gli odierni neo-giornalisti free lance e la massa degli usufruitori del variegato mondo virtuale si sono riversati sugli strumenti senza discernimento e nella presunzione di essere capaci di interpretare tra i vari segnali contrastanti quello più veritiero.
Il panorama presentato dal fotoreporter Cimini è innegabile ma eccessivo e pessimista, somiglia ai ragionamenti di Beppe Grillo. D'accordo c'è un cambiamento in atto, dovuto anche alla forza dei nuovi strumenti di informazione e delle nuove forme di aggregazione, che contribuirà a sfornare la nuova cultura europea così come ci saranno sempre controlli e lacciuoli (interni ed internazionali) sulla società, da parte dei poteri di turno. Ma che la massa di internauti possa, in quanto tale, modificare la cultura (e quindi anche la politica) esistente è improbabile: serve solo a far numero per accrescere il potere del leader di turno emergente. I mutamenti culturali si attuano in seguito ad  una sedimentazione prima alimentata da ragionamenti razionali e poi attraverso le emozioni partecipative di una minoranza organizzata. Se non c'è prima una preparazione ideologica i fermenti non sono altro che mode più o meno passeggere. L'innovazione è collegata alla cultura di una classe dirigente (pubblico soggettivo) che si riconosce su alcuni punti fondamentali, i fermenti emozionali delle folle passato l'evento sono destinati a lasciare il tempo che trovano. E i navigatori di internet demodoxalogicamente sono un pubblico virtuale (valutato dall'esterno ma non incisivo).
Come dice Cimini non resta che rimanere alla finestra ad osservare l'evolversi degli eventi."
Il grafico, presentato nel 1994 ad un convegno dell'associazione sociologi a La Sapienza, mostra la crescita esponenziale, nei secoli e attraverso i vari strumenti innovativi, dell'informazione e del suo peso sugli eventi.

* Lunedì 4  novembre riprenderanno le puntate del corso di "Filosofia dell'opinione pubblica"