lunedì 4 novembre 2013

La stupidità degli stereotipi -21

Il movimento simultaneo di difesa di una comunità di stupidi  illustrato dallo scrittore del '900 Pitigrilli nel suo Dizionario Antiballistico (editrice Sonsogno Milano 1953) altro non è che lo stereotipo di quella comunità che si traduce in "Si è sempre fatto così".
Ogni pubblico, come visto nelle puntate dell'8, 10 e 11 ottobre scorsi, ha il suo stereotipo che è il comportamento di quella particolare tipologia di aggregazione umana definita come pubblico. Un comportamento che deriva da variabili biologiche e culturali (vedasi Umberto Melotti  nella puntata n.19). L'appartenenza ad un pubblico circoscrive - in quel momento - desideri, bisogni, aspirazioni, capacità di coloro che si trovano o aderiscono allo stereotipo del pubblico in esame; l'appartenenza ad un pubblico implica l'accettazione inconscia delle regole, finalità, ideologie o schemi culturali del leader del gruppo (o pubblico). Un cuoco si rapporta con lo chef più famoso, un bambino con il comportamento dei genitori o dei fratelli più grandi, un lettore con le idee dello scrittore o del giornale preferito, un attivista di partito con le direttive del capo e così via; in quel momento lo stereotipo del gruppo sovrasta le pulsioni personali degli appartenenti a quel pubblico (vedasi nel post del 20 settembre scorso le osservazioni di Kurt Lewin). Principalmente la pluralità umana si agglomera intorno a quei particolari bisogni (materiali, psicologici, culturali) che, rispondendo alle esigenze personali di quel momento, spingono l'individuo a riconoscersi come componente di una categoria (pubblico) basata su comuni interessi pratici o ideologici che variano nel tempo e nello spazio come sostenuto da AnneMarie De Wal Malefijt e riportato  nella pagina tratta dal più volte citato Demodossalogia ed opinione pubblica:

(continua -21)