Gli esperti dei partiti, stando alle loro dichiarazioni, sono a grandi linee d'accordo su quello che intendono per riforma della giustizia e sulle conseguenti proposte. I punti sono cinque: un lodo salvacondotto per qualsiasi presidente del Consiglio dei Ministri sino a che sarà in carica, la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, una diversa composizione del CSM e della Corte Costituzionale, il processo breve ed il risarcimento da parte del giudice che sbaglia.
Ad eccezione delle due ultime proposte le prime tre non riguardano i cittadini o, perlomeno, non gli porterranno benefici; sono provvedimenti intesi a cautelare ministri e parlamentari dalle incursioni dei magistrati. Il processo breve lo anela qualsiasi cittadino ma quello che più preme è che la giustizia sia veramente tale: giornalmente assistiamo ad incalliti malfattori che, potendosi permettere il fior fiore degli avvocati, fra lunghezze procedurali, cavilli, patteggiamenti e scappatoie varie si beffano del malcapitato cittadino onesto. Così come nel caso di taluni omicidi, dissesti ecologici e finanziari. Per non menzionare l'ingerenza della politica, dei sindacati e delle varie congreghe nel consigliare qualche giudice o, se necessario, trasferirlo. Il processo breve è un passo ma non risolve l'ingiustizia patita e beffata da prescrizioni, condoni, domiciliari, attenuanti e disparità di peso giurisprudenziale tra avvocati (art. 3 della Costituzione ancora incompiuto).
Infine, sino a che saranno colleghi ad esaminare gli errori dei giudici per sanzionarli che speranza avrà il cittadino indifeso di essere risarcito? Non siamo in presenza di evidente incompatibilità?