martedì 14 febbraio 2012

Una buona legge elettorale

Non esiste una legge elettorale buona per tutti i paesi e le situazioni, come in ogni evento che coinvolge un agglomerato di persone hanno il loro peso l'epoca storica e sociale dello specifico ambiente. Sino agli inizi del secolo scorso in Italia alle donne e agli analfabeti era precluso il diritto al voto, votavano i borghesi istruiti, cioè un piccolo numero di elettori che perpetuavamo la classe dirigente. Giustamente, perchè date le condizioni delle donne sottoposte al capofamiglia e quelle della manovalanza sottoposta alla borghesia e ai latifondisti il risultato elettorale non avrebbe manifestato le intenzioni di voto degli elettori ma dei padroni (mariti o datori di lavoro) legittimando una falsa democrazia. Negli Usa, un paese dove predomina il business (l'affare economico), è normale che un miliardario arrivi alla Casa Bianca o che i candidati ricevano sostanziosi appoggi finanziari: la politica rappresenta interessi e gli interessati concorrono a finanziarla. In molti paesi del nord Europa i votanti non superano il 50% degli aventi diritto al voto in quanto la popolazione è convinta che qualsiasi eletto farà gli interessi della nazione, pertanto è ininfluente un risultato politico di destra o di sinistra.
Da noi è dimostrato che, specialmente al centro-sud, la mafia o gruppi di pressione illegittimi riescano a pilotare candidature e preferenze. E' inoltre evidente come ai politici di un certo peso all'interno del partito ma invisi alla popolazione del collegio elettorale sia assicurata la rielezione candidandoli nei primi posti dell'elenco nazionale, rientrando così in Parlamento usufruendo della percentuale di voto nazionale data al partito. Democrazia vuole che qualsiasi opinione sia rappresentata in Parlamento e che lo sbarramento del quoziente elettorale non sia altro che un artificio per favorire i partiti maggiori. Però è anche vero che la frantumazione dei partiti (cioè delle idee e degli interessi) è di ostacolo ai lavori parlamentari e allo stesso governo. Come restituire al popolo la sovranità?
Premesso che il numero dei deputati andrebbe dimezzato e che il Senato fosse trasformato (come chiesto da quasi tutti i partiti) in un luogo di elaborazione e confronto tra regioni e forze economico-sindacali ma non di decisione, il territorio - sulla falsariga del presente - potrebbe essere suddiviso in collegi elettorali uninominali regionali proporzionati come numero di elettori, ove chi raccoglie il 50% + 1 sarebbe subito eletto mentre il rimanente degli aventi diritto entrerebbe in base alla percentuale regionale maggiore del consenso avuto (tipo l'attuale sistema di votazione per il Senato).
Facciamo un esempio ipotetico: Frosinone con 300 mila abitanti avrà diritto ad un deputato, Roma con tre milioni a 10 rappresentanti, a Frosinone Alberto del Ppp verrà eletto nel terzo collegio in quanto avrà raccolto il 22% dei voti totali del collegio mentre a Roma Luigi, dello stesso partito, pur avendo avuto il 35% (quindi più di Alberto) nel primo collegio, non risulterà eletto in quanto superato da Marco del Ddd (36% nello stesso collegio), Francesco del Ddd (39% nel terzo), Stefano del Rrr (40% nel secondo), Marcello del Vvv (41% nel quarto), Ambrogio del Mmm (42% nel quinto), Cesare del Mmm (43% nel sesto) e così via. Cioè i dieci quozienti più alti dei collegi di Roma.
Votare per collegi uninominali vuol dire: 1) abolire il voto di preferenza per il candidato per votare solo il simbolo del partito che lo ha proposto 2) rispettare la volontà dell'elettore dichiarando eletti solo i candidati espressi dai simboli percentualmente più votati nell'ambito circoscrizionale provinciale 3) lasciare la soglia di sbarramento alla volontà elettorale che potrà concentrare, di volta in volta, le preferenze su questo o quel simbolo in consonanza con gli interessi e la presenza politica nel territorio.
Governabilità e finanziamento ai partiti a parte!