Uno dei drammi di portata mondiale che affligge l’umanità è la povertà economica che fa versare in condizioni disagiate e pietose interi popoli, soggiogati, sottomessi, schiavizzati e abbandonati alla loro sorte – ad un certo punto ineluttabile -, ridotti a mere pedine di chi amministra e gestisce il potere per rimpolpare i propri averi e quelli della sua cricca. È un meccanismo perverso che chi è ai vertici fa proprio, lo salvaguarda calpestando il prossimo, in nome di un individualismo sfrenato, esacerbato per accrescere sempre di più i suoi beni e sguazzare in quei privilegi che cari costano in termini di fatiche fisiche e morali, rinunce, sacrifici a chi li deve mantenere, per l’appunto il popolo nelle sue fasce deboli, indifese, strumentalizzate. Dunque nascere ed essere inseriti in un tessuto sociale benestante significa essere sempre protetti, spalleggiati, poter ereditare ed utilizzare strumenti d’interpretazione della realtà, preclusi a chi non ha la stessa fortuna, intesa naturalmente come vox media. In più, non può esserci comprensione di situazioni precarie da parte di chi non ha mai affrontato particolari difficoltà nei percorsi di vita, anzi va da sé che la difesa strenua di tutto ciò che ruota pro domo sua è volta all’esclusione di estranei per il mantenimento assoluto del potere che non può essere spartito. Occorrerebbe un cursus honorum di vita prima che di carriera per avere un’idea di come fronteggiare le situazioni. Comunque, come e dove intervenire affinché il divario tra ricco e povero possa essere ridimensionato? E soprattutto, da dove partire per scuotere la coscienza umana, per spingerla verso il bene? Intanto la prima forma d’impoverimento da debellare, che incide in maniera pregnante sulla società civile, deriva dalla rincorsa quasi esclusiva ai beni materiali, il che provoca un disconoscimento culturale, una disaffezione a ciò che deve essere caldeggiato e favorito innanzi tutto, la conoscenza, che apre la mente a nuovi orizzonti, la fa spaziare, la fa uscire dall’obnubilamento, la nobilita, la arricchisce, aiuta ad esplorare l’anima, ad analizzarla, a concretizzare ciò che può avere effetti positivi anche sull’economia stessa, dei sentimenti, per dirla con Adam Smith. Insomma è indispensabile e fondamentale una seria e incisiva rivalutazione della cultura, intesa appunto come conoscenza senza sforzo, come “acquisizione per sempre” per se stessi e per il prossimo, attraverso la quale poter risollevare menti intorpidite, offuscate, confuse, perse, talvolta nell’imitazione di chi ha e sfoggia apparente, vuota e inconsistente opulenza, volta non certo e non sempre alla felicità, perché fondata sull’oggetto più che sul soggetto-persona. E in un periodo di forte stagnazione avvertita a vari livelli, soprattutto morale ed etico, chi può fattivamente, quindi non solo con l’astrazione, cercare di far riprendere la giusta marcia alla macchina sgangherata, e particolarmente bisognosa di riprendere la giusta carreggiata? Intanto la scuola pubblica, quella che apre le sue porte a tutte le persone di buona volontà, senza distinzione di sorta; la scuola, che deve essere valorizzata e giustamente finanziata, impiegando maestri validi, preparati, appassionati, e che deve essere concepita come il fondamento imprescindibile di una società cui riversare la “ricchezza” di idee, di proposte, di azione. Ciò mirando al rispetto del suo compito precipuo che è lo studio. L’insistenza ripetitiva sul verbo dovere ha un valore di richiamo all’importanza primaria dell’esistenza e della funzionalità dell’istituzione scolastica che da sola però non può assolvere in maniera completa il suo compito educativo e formativo, più latamente la sua mission, senza l’ausilio costante, presente, immancabile dell’altra cellula sociale, la famiglia. (scritto da Antonella Tennenini)