Sia in un parlamento di eletti che di nominati è dimostrato che i rappresentanti (o pseudo) degli elettori non sfuggono alla tentazione del peccato di simonia. Così come è dimostrato, dai fatti, che le coalizioni che hanno scelto il presidente del Consiglio possono frantumarsi in neopartitini che non hanno neppure partecipato alla competizione elettorale e ricattare il premier giungendo sino alle sue dimissioni. Eppure un governo per attuare i suoi programmi oltre ad avere una solida maggioranza su cui contare ha bisogno dell'intera legislatura di cinque anni per completare quanto prefissato. Un governo che abbia avuto la fiducia dal parlamento non dovrebbe correre pericoli per il resto della legislatura ma non è così nè con il sistema proporzionale nè con il bipolarismo. La spada di Damocle sono gli umori dei parlamentari e delle segreterie di partito, mentre ci sarebbe bisogno di stabilità governativa, di questo o quel partito nel bene o nel male.
Se il nodo scorsoio è la velleità dei partiti e degli eletti (o nominati) più irrequieti il bisturi dovrebbe incidere proprio su coloro che occupano uno scanno parlamentare, mettendoli con le spalle al muro: quando un governo è sfiduciato decade e automaticamente si va al rinnovo delle elezioni. A questo punto quanti si sentirebbero di affrontare una campagna elettorale o il rischio di una mancata rielezione?
Un tale sistema andrebbe completato con la riforma della nomina del presidente del Consiglio nel senso che i partiti esprimono il loro candidato, come avviene ora, ma in liste svincolate dall'elenco degli aspiranti parlamentari. L'elettore dovrebbe scegliere il candidato a premier da una lista contenente solo i nominativi e gli emblemi dei partiti che lo propongono a tale carica. Se il candidato che avrà preso più voti superà del 5% (o altra percentuale) i voti presi dal secondo classificato verrà subito eletto nella carica, senza bisogno del placet parlamentare (voto di fiducia). Se lo scarto sarà inferiore alla percentuale prefissata si farà il ballottaggio tra il primo ed il secondo, dando ai partiti la possibilità di schierarsi con questo o quello; ma una volta eletto solo un voto di sfiducia lo potrà mandare a casa e - con lui - l'intero parlamento.
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