Il Monte dei Paschi di Siena cominciò ad operare nel maggio del 1472 in una sede assegnatagli dal comune come primo istituto di prestiti su pegni per sostituirsi agli ebrei che allora praticavano "l'esercizio del prestito su pegno, detto allora comunemente ad usura". Mentre nel secolo XV la creazione di istituti consimili era patrocinata, specie in Toscana, dai frati minori francescani la nascita del Monte Pio e quella del Monte dei Paschi fu una spontanea iniziativa del comune di Siena. L'immagine riproduce la copertina del "compendio di notizie storiche e statistiche (1472-1912)" a cura di N. Mengozzi (430 pagine, 70 illustrazioni).
Da allora e con alterne vicende, dovute prima al fascismo e poi alla statalizzazione delle banche, il Monte fu sotto il controllo del comune. Nell'ultimo dopoguerra le banche in Italia furono gestite con una preponderanza di amministratori nominati dalla politica e in particolare dalla Dc, qualcuna di essa fallì e fu inglobata in quelle che si salvarono ma il Monte dei Paschi riuscì a crescere e a consolidarsi in tutto il resto della penisola sotto il controllo della Fondazione del Monte con il 51% delle quote in mano alla provincia e al comune di Siena. Quote scese da poco tempo al 30%. Ed essendo il comune amministrato da una giunta rossa (prima Pci, poi Pds, quindi Pd) la banca è stata sempre collocata politicamente come banca del partito comunista. Fin qui la storia.
Veniamo alla cronaca: il MpS ha rilevato per nove miliardi di euro la banca Antonveneta dalla banca spagnola Santander che l'aveva acquistata a sei miliardi di euro, quindi con un prezzo maggiorato nel giro di meno di un anno, in conseguenza di ciò il Monte dei Paschi si vide costretto a negoziare un debito con una banca giapponese nascondendolo con un'abile operazione nei cosiddetti derivati (che tanto sconquasso hanno portato alle banche e all'economia, per non citare i risparmiatori). In pratica acquistò con il prestito giapponese buoni del tesoro per un importo superiore a due volte e mezzo il capitale della banca, cedendoli in cambio del prestito; oltre ad altre operazioni discutibili. Un successivo inusuale e strano prestito di 2 miliardi di euro e 1,9 di rimborsi concesso dal governo di Mario Monti al Monte (e non anche ad altri istituti di credito) è servito per ripianare il buco della banca, fatto in nome dell'italianità delle banche per sottrarle dalle influenze esterne (come avvenuto con l'Alitalia). Ora la Banca d'Italia, deputata a vigilare sulle banche, ha avviato una indagine che ha fatto scoprire l'arteficio contabile, allarmare i correntisti e far crollare il titolo in borsa. Una buco come nella Parmalat ha detto all'assemblea dei soci Beppe Grillo.
Che i bilanci economici delle banche, come quelli delle aziende, non siano veritieri è cosa risaputa. Si racconta che un direttore di un'azienda romana, negli anni '60 dello scorso secolo, sosteneva che l'azienda aveva tre bilanci: uno per gli azionisti, uno per il consiglio d'amministrazione e l'altro che conoscevano solo il presidente e il direttore; lasciamo a voi indovinare quale era il bilancio reale.
Sorge un dubbio: se Monti non avesse avuto bisogno dei voti del Pd avrebbe dato ugualmente il finanziamento alla Banca? Nessuno del Pd ha chiesto o mercanteggiato il prestito? Se alla guida del governo ci fosse stato Pier Luigi Bersani (nonostante la sua linearità) come si sarebbe comportato? C'è però da dire che se il MpS, come qualsiasi altra banca, dovesse fallire cadrebbero anche altre banche, aziende finanziate dagli istituti di credito e le compartecipazioni varie possedute dalla banche; quindi l'aiuto dello Stato al Monte dei Paschi è stato una necessità per evitare una catastrofe ponendo le mani su una eventuale nazionalizzazione se la banca non dovesse onorare la restituzione del capitale e gli interessi.