mercoledì 23 gennaio 2013

Quo vadis Bersani?

Pier Luigi Bersani è stato un ottimo presidente di regione e un altrettanto ministro dello Sviluppo economico, meriterebbe di essere messo alla prova come presidente del Consiglio dei ministri; peccato che è circondato da uomini che della politica ne hanno fatto una casta, che controllano frattali di territorio e voti e, non ultimo, in buona parte sono imbevuti culturalmente dall'ormai superata visione marxista. Nell'insieme il Pd non riesce a percepire il futuro come la caduta delle vecchie ideologie per far posto ad una matura visione delle esigenze locali improntate sui fatti e non sugli schieramenti di destra e sinistra, sull'abbandono degli aiuti di stato alle aziende decotte per dirottarli alla ricerca, allo sviluppo e all'export, sul superamento del ministero della difesa per trasformarlo in ministero della protezione civile, sulla coopartecipazione dei dipendenti agli utili dell'azienda attraverso apposite azioni privilegiate, sull'intervento pubblico nei settori strategici ed innovativi, sulla deducibilità (con un tetto rapportato al reddito) delle spese, sulla riforma dello stato iniziando dall'abolizione delle regioni (costosissime e inutili) e non i comuni e le province, sul ripristino del falso in bilancio, sull'interdizione dalla professione o attività o albo degli accertati evasori, e si potrebbe continuare. Tutti provvedimenti senza o a bassissimo costo.
Il fatto è che il Pd ha uno zoccolo duro di aspirazioni ideologiche di sinistra che spera nella mano dello Stato per risolvere i problemi quotidiani, anche se alla lunga si riveleranno costosi e inconcludenti soprattutto perché la loro realizzazione è affidata ai politici e non ai professionisti del settore. Essere riformisti (anche di sinistra) non vuol dire sperperare il denaro pubblico ma saperlo amministrare. I conservatori, oggi, sono i riformatori di una volta  che ancora aspettano la rivoluzione sociale e coloro che vogliono tenersi stretti i posti pubblici conquistati attraverso il partito.
Bersani, nonostante le migliori intenzioni, è a un bivio: da una parte i riformisti che guardano verso Mario Monti, dall'altra lo zoccolo dura della sinistra ammaliato da Antonio Ingroia e Niki Vendola. Uno perché toglie voti alla coalizione e l'altro perché mette in difficoltà Bersani. Emorragia di voti assai dannosa ai fini del risultato elettorale, tanto che il 30% potrebbe essere il massimo raggiungibile.

Domani: Il futuro di Casini.