È un quesito ricorrente tra più o meno intellettuali: la lingua italiana, la nostra, quella che ci affratella, gode o no di una buona salute? La risposta non può che essere affermativa, data la solidità della sua grammatica, ben strutturata e normalizzata, dalla storia ormai millenaria. Semmai deve stare in guardia chi la usa nello scritto e nel parlato. Tante teorie pedagogiche buoniste degli ultimi decenni hanno bacchettato maestri, reputandoli severi, che semplicemente insegnavano regole di grammatica, di ortografia, di punteggiatura, di fonetica, attraverso pagine e pagine di esercizi, di analisi, di riassunti, di dettati. Tali applicazioni allenavano la mente alla logica, al ragionamento, all’associazione di idee e non bloccavano certo la creatività, l’inventiva del discente, peraltro manifestabile in numerose altre situazioni; anzi, era un modo, oltre che per apprendere le basi linguistiche e lessicali, per imparare ad accettare quotidianamente l’ordine nella vita, fondato sul rispetto delle leggi in una società civile. Da qui l’importanza anche della sintassi (dal greco, “con ordine”) che, occupandosi della costruzione di frasi e periodi, è indispensabile per l’elaborazione di testi scritti e per affinare la dialettica quando si esprimono pensieri e idee verbalmente. Si può discutere sul metodo d’insegnamento, di trasmissione del sapere, ma non sull’imprescindibile conoscenza delle parti variabili e invariabili del discorso che richiede naturalmente dedizione per essere conquistata. Padroneggiare la propria lingua, e possibilmente anche altre, fa avvertire un maggiore senso di sicurezza e di spontaneità nell’esprimere concetti, contenuti, nel proferire la parola giusta richiesta dal contesto e dallo scopo comunicativo-informativo. Recita un adagio: “tutto è difficile prima di diventare facile”. L’apprendimento di qualunque materia infatti richiede sforzo mnemonico, impegno, concentrazione, attenzione. Così, a titolo d’esempio, in un periodo ipotetico la combinazione congiuntivo-condizionale - usualmente sostituiti dall’indicativo imperfetto e trapassato prossimo, soprattutto dagli adolescenti -, senza volerne abusare, diventa automatica, conoscendone la coniugazione in tutti i tempi; come pure per risparmiare tempo, spazio, denaro, si possono plausibilmente abbreviare le parole di un messaggio scritto (specialmente col cellulare) – come tramandato dalla tradizione epigrafica greco-romana -, ma sapendo poi integrare correttamente le omissioni quando si rende necessario. Nella babele contemporanea generalizzata, la lingua, in quanto organismo vivente che evolve verso la semplificazione, va protetta, tutelata, promossa e coltivata: compito, in Italia, svolto egregiamente dall’Accademia della Crusca a Firenze, ma a cui è chiamato ogni singolo cittadino italiano. In che modo? Studiandola ottimamente sin dalle scuole elementari e consolidandola, rafforzandola ogni giorno con letture significative, in base ai propri interessi, e con la scrittura, di diari, lettere... cogliendone la varietà lessicale: è opportuno ampliare gli orizzonti vocabolaristici, utilizzando più termini, aggettivi esistenti! (scritto da Antonella Tennenini)